venerdì 30 settembre 2011

AUTOSTIMA A SIRACUSA


galleriaRoma
piazza San Giuseppe 1/2/3
Siracusa

Autostima a Siracusa

Un incontro alla “Galleria Roma” con l’Università “Brahma Kumaris”

Riscoprire come apprezzare se stessi, calibrare meglio le proprie scelte per trarre più soddisfazione dal proprio percorso, relazionarsi sempre meglio sulla base del mio valore e di quello degli altri.



Il 1° Ottobre 2011, alle ore 18.30, la Galleria Roma ospiterà l’Università Spirituale Mondiale Brahma Kumaris, un'Organizzazione non Governativa, con statuto generale di organismo consultivo presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite e presso l'UNICEF. Il suo intento è quello di promuovere un cambiamento positivo attraverso la riscoperta dei valori morali e spirituali e delle qualità insite in ciascun individuo. (www.bkwsu.org/italy).

L’incontro sarà condotto da Antonella Ferrari, insegnante dell’Università da più di 20 anni. La sua esperienza maturata sul territorio italiano ed internazionale, riesce facilmente a guidare il pubblico verso una visione più chiara e semplice della tematica affrontata.

In questo caso si esplorerà l’Autostima, un argomento caro un po’ a tutti in questi tempi che mettono a dura prova il nostro animo, le scelte che sentiamo essere veramente giuste per la nostra crescita e la salvaguardia dei rapporti interpersonali. In tempi come quelli attuali, i valori fondamentali “gridano” per essere apprezzati nuovamente e messi in pratica e, dal momento in cui iniziamo a sperimentare e riconoscere aspetti genuini di noi stessi, nasce una nuova stima della nostra persona.

Iniziamo a prendere le cose con più calma e accettazione, capendo che ciò che accade ha un significato, e ciò non significa essere passivi. Avere fiducia in se stessi diventa effettivamente possibile quando ristabilisco un contatto con la mia identità, quando faccio attenzione a non commettere quel tipo di sbagli che mi portano al continuo pentirmi, perdendo così stima di me stesso.

Antonella Ferrari ci guiderà attraverso condivisioni, esperienze di meditazione guidata e riflessioni mirate sull’argomento.

Organizzazione e Direzione: Corrado Brancato

Addetto Stampa: Amedeo Nicotra

Ingresso Libero


Info:
0931/746931
0931/66960 (orario apertura Galleria)
cell.338/3646560
corradobrancato@hotmail.com


domenica 25 settembre 2011

Pinocchio esce dalla sua fiaba


galleriaRoma
piazza San Giuseppe 1/2/3

Giovedì 29 settembre 2011 presso la Galleria Roma, Piazza S. Giuseppe , Siracusa alle ore 18,30 presentazione del volume di Euridice Zàccari Pinocchio esce dalla sua fiaba Relatrice: Giovanna Strano, preside dell’Istituto “Filippo Iuvara”.
Saranno presenti l’Autrice Euridice Zàccari e l’Editore Carlo Morrone

Una fiaba in cui Pinocchio, il burattino di collodiana memoria, è subito trasformato in un bambino che, orfano del suo Geppetto, deve crescere senza una guida. Il protagonista crede che quelli fatti di carne e ossa sono tutti buoni, mentre i cattivi rimangono burattini di legno fin quando non diventano buoni. Con queste convinzioni Pinocchio si affaccia alla vita andando incontro a singolari avventure che gli permetteranno di maturare e di superare le difficoltà in mezzo a momenti lieti, trascorsi insieme ai suoi nuovi amici e conoscenti. Un Pinocchio rivisitato che a fatica tiene a memoria le lezioni che la vita gli offre giorno per giorno, fin quando avviene il miracolo: da ragazzo insensato e senza giudizio si trasforma in persona responsabile decidendo di allontanarsi dalle cattive amicizie che lo stavano trascinando per una strada senza ritorno. Questo libro è il dono che una nonna ha scritto per il suo nipotino, ma che si addice a tutti quei nipotini che non hanno una nonna scrittrice.

Organizzazione e Direzione: Corrado Brancato e DiapasonStudio

Addetto Stampa: Amedeo Nicotra

Ingresso Libero


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mercoledì 21 settembre 2011

M


galleriaRoma
piazza San Giuseppe 1/2/3
Siracusa
Sabato 24 settembre alle ore 18,30 Mariateresa Asaro presenta la mostra di pittura " MOULIN ROUGE" di Tania Triolo


VIBRAZIONI SENSORIALI IN UNA VOLUTTUOSA RICERCATEZZA FORMALE

L’arte di Tania Triolo è pittura creata da una donna a rappresentazione e celebrazione della figura femminile, del suo fascino e della sua sensualità. Siamo dinnanzi alla rappresentazione di “donna eccessiva”, connubio di bellezza e perversione da cui promana una costruzione d’immagine del protagonismo femminile teso ad affermare il modello “divorante” della donna-virago, che però prefigura una nuova forma di soggettività. La Triolo appare infatti muoversi in un abito mentale volto a recepire una realizzazione estetica secondo le suggestioni dannunziane costruite attorno al lirismo narcisistico dell’artista, alla ricerca di un erotismo ostentato nella sua concreta materialità edonistica che pare irridere sarcasticamente a scontate istanze moralistiche. E oggetto della mostra della pittrice è la rappresentazione del Burlesque, antica forma di spettacolo nata nella seconda metà dell’800 nell’Inghilterra vittoriana: protagonista è la donna, la sua femminilità e il suo corpo, esibito come “soggetto” artistico e non come oggetto, in un connubio perfetto di arte, esibizione, seduzione, teatralità. Si percepisce allora la volontà della pittrice di porgere al fruitore suggestioni che provengono dall’osservazione di un universo permeato da un erotismo intrinsecamente femminile, reso dalla “cerebrale”, immediata corposità e sensualità dei soggetti raffigurati, perché, scrisse la celebre Anaïs Nin, “l’erotismo è una delle basi di conoscenza di sé, tanto indispensabile quanto la poesia”.

Maria Teresa Asaro

Organizzazione e Direzione Artistica: Corrado Brancato

Addetto Stampa: Amedeo Nicotra

Ingresso Libero



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domenica 18 settembre 2011

I MEGGHIU


galleriaRoma
piazza San Giuseppe 1/2/3
Siracusa

Giovedì 22 settembre alle ore 18,30 Aruro Messina ricorderà "I MEGGHIU" cioè i siracusani che negli anni Ottanta e Novanta si distinsero.

La Galleria Roma, che recentemente si è trasferita da via Maestranza a Piazza San Giuseppe, in una sede molto più decorosa e adeguata, ha ripreso, oltre che l’attività artistica, anche quella dei suoi “giovedì della cultura”, in cui ha coinvolto parecchi tra i personaggi più noti e apprezzati del mondo artistico e culturale del territorio, invitandoli ad alternarsi nell’intrattenere con importanti conferenze su gli argomenti più vari che vanno dalla letteratura e l’arte, dalla storia alla socialità ( aventi generalmente come focalità lo spaccato particolare dell’ambiente) i numerosi suoi iscritti e chiunque ne fosse interessato, per cui degnamente viene conosciuta e apprezzata come una delle associazioni più attive e qualificate di Siracusa.
Giovedì prossimo, giorno 22, alle ore 18.30, pertanto, a conferma dell’attenzione che la benemerita Galleria rivolge alle “locali cusuzze” l’obbiettivo sarà rivolto a “i megghiu”, cioè ai siracusani che, negli anni Ottanta e Novanta ( dal 1983 al 1997), si distinsero per i loro meriti culturali, artistici, religiosi, sportivi, sociali e per questo ricevettero il Premio di Cultura e Socialità
E’ uno spaccato di storia siracusana che merita di essere vivamente attenzionato, soprattutto a dimostrazione che allora, come oggi, non vi erano e non vi sono solamente estorsione, delinquenza, mafia, egoismo… ma vi erano e vi sono anche , come diceva l’Ispirazione Tematica del riconoscimento “… frammenti di speranza/ che lievitano per le strade / convulse di traffico e d’ansia: c’è ancora il buon Samaritano tra noi; c’è ancora il paziente Cireneo/ che si accolla il gran peso altrui,/ c’è chi tiene la fiaccola accesa nella notte civile che incombe …”
Il compito di risuscitarne il più doveroso e degno ricordo se l’è assunto chi quell’iniziativa si assunse e portò avanti per quasi un ventennio: il prof. Arturo Messina, che per ognuno dei premiati ne scriveva la motivazione con un sonetto o sonettessa, in lingua italiana d’oggi o in lingua italiana primiera, cioè in dialetto siciliano, che pur se lui per modestia ha sempre definito “sedicente poesia” assumevano un valore sicuramente superiore a quello d’una medaglia .
Egli più che fare la storia del Premio, rinfrescherà la memoria di quei singolari siracusani che non dobbiamo dimenticare, ma imitare; pertanto lo farà leggendo alcune di quelle … sedicenti liriche. Trattandosi dell’Oscar della Siracusanità, come sottofondo farà ascoltare alcuni dei suoi “120 acquerelli poetico musicali sul territorio di Siracusa” che venivano cantati dai Siracusani Singers, come “Omaggio a Ortigia” cantato da Lucia Colletta Frisone ( la madre di Fulvio Frisone), “Torna, Santa Lucia!”, cantato da Nello Burgio”, “Non potrai scordar Siracusa” ( cantata da Fabia Tanasi e il gruppo) e diverse altre.
Si prevede che oltre ai soci, molti in omaggio a chi non vi è più ma che bisogna ricordare e imitare, a partire dagli amici e dai parenti, verranno a presenziare.

Organizzazione e Direzione: Corrado Brancato

Addetto Stampa: Amedeo Nicotra

Ingresso Libero


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lunedì 12 settembre 2011

iL FIGLIO DEL DILUVIO- Ritorno alla poesia di Enzo Giudice




galleriaRoma
piazza San Giuseppe 1/2/3
Siracusa





Giovedì 15 settembre alle ore 18,30 Salvo Sequenzia presenterà il libro del poeta Enzo Giudice.


IL FIGLIO DEL DILUVIO
Ritorno alla poesia di Enzo Giudice


Ritornare alla poesia di Enzo Giudice. Ad Ortigia, dove il poeta floridiano prematuramente scomparso quattordici anni fa visse e compose i suoi versi più belli ed amari, vagando tra i vicoli della Giudecca «accattone di sogni e di parole».
Un ritorno che propizia una lettura nuova dell’opera del Nostro, la cui indagine critica rimane sempre aperta per l’innumerevole quantità di inediti che il poeta ha lasciato e che, periodicamente, affiorano, portati alla luce dalle inesplicabili correnti della vita.
Il poeta Enzo Giudice, fu uomo fedele ai suoi e agli amici, buon lettore, curioso di esperienze, gran viaggiatore inquieto e disperato, raffinato animatore culturale in quella cerchia di intellettuali siracusani che si radunava, negli anni post-bellici, nella “Bottega Margutta” di Castorio Di Tommasi attorno a Piero Fillioley, a Dino Cartia, a Mario Zammararo, ai fratelli Formosa.
L’apprendistato letterario di Enzo Giudice si consuma a metà tra gli anni Sessanta e Settanta in interventi giornalistici di costume e di cronaca, in recensioni e appunti culturali sui rotocalchi aretusei l’Eco di Sicilia, La Domenica, Edizioni Pentapoli.
Si attestano ai primi anni Settanta i viaggi di Enzo Giudice a Milano e a Roma, dove frequenta l’atelier del pittore Giorgio Orefice e la casa di Mario Zammarano, partecipando con curiosità e intelligenza all’avventura culturale delle “romane” Edizioni Cartia. Intanto conosce e frequenta Leonida Repaci, al quale fa leggere i suoi primi esperimenti poetici, che confluiranno nella silloge Il figlio del diluvio, pubblicata nel 1974 dall’editore Cartia e che risulterà finalista al Premio Viareggio, nella sezione dedicata all’opera prima. Leonida Repaci, «estimatore dei suoi versi» , lo introdurrà negli ambienti letterari della capitale dove il poeta viene subito apprezzato per la sua sensibilità e il suo carattere mite e malinconico.
Con Il figlio del diluvio, prefato da Mario Zammarano, la poesia di Enzo Giudice svela subito e per intero la sua appartenenza a quel «sesto continente del pianeta piccolo e clandestino» che è la Sicilia, a quella Sicilia che è insieme terra di miti e luogo di contraddizioni profonde, ove le urgenze esistenziali e le ansie speculative si compongono, variamente ibridate o bruciate, entro immagini reali o astratte.
La scrittura che emerge da simile entroterra è una scrittura che privilegia le dicotomie e le costanti polarità, cui non si sottrae il nostro autore, nei cui versi si fissano attaccamento alla vita e senso di morte, ansia conoscitiva e tentativi di fughe nel passato, gusto della natura e memoria di ombre.
Con gli scrittori siciliani del primo e del secondo Novecento, Giudice condivide una profonda spinta contestativa alla propria realtà che, se in alcuni si è espressa in un reale andare via - nella fuga verso il nord - nel nostro si consuma tra tentativi “reali” di fuga, viaggi disordinati in Italia e all’estero, e in immaginari piani di fuga nei quali dislocare una personale ed utopica ricerca di “altro”. Ma alla spinta centrifuga e al desiderio di sconfinamento dal reale si oppone una tendenza centripeta in cui si esercita e si manifesta il controllo del logos sugli impulsi dell’anima.
Di tale rapporto ci testimonia il Dies irae, composto intorno al 1975.
La scrittura poetica del Dies irae alterna reale e surreale, interiorità ed esteriorità, buio e luce, storia e mito, epos classico ed epos cristiano.
La «primitiva purezza del fiume», le «stanze ammobiliate», l’«ideale Milano», sono luoghi in cui cifrare l’inquietudine del poeta e il suo desiderio di sondare l’oltre metafisico. Allegoria, inoltre, del nomadismo interiore e di un inconscio desiderio di soste, ma anche di una impossibilità o di una incapacità di consistere nel proprio tempo storico se non per antitesi, per via negativa, dichiarando la propria assenza, proiettandosi verso un non-luogo in cui riverberare il rifiuto, anche segreto, di una realtà inadeguata: «E’ il gusto amaro/ di chi è posto ai confini dell’esistere/ di chi si è fatto biancore che fugge/verso terre che ignorano il cemento...».
Il «gusto amaro dell’esistere» cui allude il poeta ha un riscontro quasi letterale in quel «gusto amaro della vita» su cui disserta il protagonista dell’Uomo dal Fiore in bocca di Luigi Pirandello, piece teatrale che si sviluppa dalla elaborazione della novella La morte addosso. Il Dies irae è l’ultimo approdo dell’«uomo dal fiore in bocca», l’uomo segnato dalla ineluttabilità del proprio destino ma, insieme, così attaccato alla vita da non rassegnarsi: «Lasciaci spendere i nostri trenta denari/nel canto sterile di chi muore/di sete davanti a zampilli di veleno/lasciaci scavare una galleria/ senza sbocchi come un pezzo di vetro/in cui si riflette la notte»: così si legge in questo passaggio del Dies irae, dove la costruzione del dettato poetico, fortemente retoricizzata dalla frequenza degli ossimori, delle antitesi e della similitudine finale, si fa presagio, epifania di ciò che ineluttabilmente “deve accadere”.
In tal senso, la poesia del Dies irae si discosta definitivamente dai toni ermetici del Figlio del diluvio, accogliendo e realizzando la proposta montaliana ad un discorso che «passi il varco», sovvertendo i confini istituiti del reale, verso un luogo probabile ma indefinito in cui si saldano memoria del passato e angoscia per un presente vissuto nella sofferenza e nella disillusione. Denso, contratto, sostenuto, fluido e struggente è il verso del Dies irae, in cui il discorso poetico opera la mimesi di quelle «Labbra [che] si schiudono come valve/per inghiottire epigrammi...», in cui le «parole diventano suoni rarefatti/di cornamuse ironiche...» che prendono il poeta fin dall’inizio del poemetto e lo inducono a consegnarsi all’inganno, alle seduzioni del suo faticoso e tragico errare «verso terre che ignorano il cemento».
L’orizzonte esterno, da cui muove l’immaginario del poeta, è quello reale dei luoghi colti nella loro quotidiana presenza: il fiume inquinato dal catrame e dalle discariche. Ma esso, trafitto dallo sguardo allegorico del poeta, sembra dilatarsi al punto da dischiudere un orizzonte “altro”, sino a divenire rappresentazione di un inquinamento “morale”, metafisico, segno tangibile della presenza costante del Male nella storia dell’umanità e, in particolare, nell’epoca in cui vive il poeta. Male morale che ha sconvolto orribilmente la «primitiva purezza del fiume», immagine quasi leopardiana, con la quale il poeta vuole certo alludere al tempo felice dell’infanzia, a quella “primavera dei popoli” cantata da Leopardi in cui l’uomo viveva in perfetta armonia con la natura.
La positività dell’elemento equoreo che si delinea nell’incipit del Dies irae, rinvia, da un lato, a una dimensione mitopoietica ancestrale - in cui l’acqua viene vista come portatrice di vita e di purificazione - e dall’altro recupera un modulo caro alla poesia araba, quello della “poesia idrologica” - il canto dei fiumi e delle sorgenti della Sicilia - topos che si associa, nell’opera di Hibn Hamdis e di Al Trabanishi, all’elogio della Sicilia in quanto “Giardino di Hallah”, paradiso in terra, luogo di delizie e di primigenia purezza. Tale topos agisce anche nella poesia di Quasimodo, seppure filtrato attraverso il recupero di tematiche legate alla grecità - si pensi alle poesie “fluviali” dedicate all’Anapo, al Simeto e ad altri celebri fiumi e sorgenti della Sicilia - sino a depositarsi nell’immagine dell’isola in quanto “paradiso perduto”, luogo di purezza contaminata cui Quasimodo guarda con nostalgia estetizzante e Giudice, nell’incipit del Dies irae, riprende in modo assai originale e con toni di disperata rassegnazione.
In effetti, l’universo poetico di Giudice viene dopo una catastrofe - egli «figlio del diluvio» - ormai nemmeno più storica, perché proiettata in un passato mitico, indifferenziato, atemporale. Dalle soglie di questo spazio-tempo indefinito, rievocato ed attualizzato dalla memoria dei drammi familiari, emerge una epifania del negativo, avvertito come oscura memoria maligna, come fantasma di un destino sinistro: «Non per libera scelta io venni/ alla deserta isola di Pathmos/ma perché da te chiamato:/una calamita’ mi costringe sempre/a ritornare con passo piu’ pesante».
Misticismo, esoterismo e surrealismo alimentano dunque la poesia del Dies irae, che ha i suoi referenti letterari - più o meno esplicitati - nelle Illuminations di Rimbaud, nella visionaria peregrinazione degli Ultimi cori per la Terra promessa di Ungaretti, nella posia di Raphael Alberti, nei Canti orfici di Campana e nei Cantos di Pound. E, ancora, il verso del Dies irae conosce lo sbigottimento bontempelliano, la disillusione amara di Landolfi, l’ardua visionarietà surreale di Savinio.
Ma la corrente delle apparizioni tende a trasferire, a dissolvere il dato empirico in una visione assoluta fatta di evocazioni, di storie iniziatiche, di prodigi. La condizione magica dell’essere, il deflagrante morire del tempo, rifiutano ogni tipo di analisi; e perdura la sofferenza, il dolore dell’ardua via dell’esistere, da cui scocca il trionfo triste della poesia.

Salvo Sequenzia

Organizzazione e Direzione: Corrado Brancato

Addetto Stampa: Amedeo Nicotra

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lunedì 5 settembre 2011

fOTOGRAFIA E ARTE

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Siracusa
FOTOGRAFIA & ARTE




Giovedi 8 settembre alle 18,30 nei locali della nuova sede di Galleria Roma, Salvatore Zito intratterrà gli ospiti della serata con una conversazione sui rapporti della fotografia con l’arte.
Nel percorso della storia dell’arte la fotografia ha dovuto da sempre strappare con le unghie e con i denti il suo ruolo all’interno della generale evoluzione artistica. La fotografia non ha una storia autonoma e per questo separata dal resto dell’arte ma, insieme alle avanguardie che hanno costruito il pensiero e le opere degli artisti contemporanei, la fotografia ha avuto ed ha con l’arte un ruolo paritario.

Nella breve conversazione che giovedì si terrà nella nuova sede di Galleria Roma, appena inaugurata, si affronterà questo tema utile ad individuare il significato artistico di un immagine fotografica ancora oggi da molti considerata, a torto, figlia di un’arte minore.

Si faranno alcuni accenni alla storia della fotografia, narrandone i presupposti e i protagonisti, si parlerà dei movimenti fotografici nati qua e là nel mondo, il loro concettualismo e il rapporto con le arti ufficiali. La conversazione sarà integrata dalla proiezione delle immagini di riferimento per gli argomenti trattati.

Organizzazione e direzione: Corrado Brancato


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